Non puoi fermare il vento,

ma devi sapere come fabbricare mulini.

Riassunto

Quando posso permettermi una mezz’ora di rigenerazione mi piace andare sulla balconata del Castello di Miramare, meglio se il borino ha reso l’aria tersa. Da lì ho la sensazione del fluire. Il movimento del mare che senza soluzione di continuità da Shanghai, da Los Angeles o da Melbourne fluisce fino all’estremo nord del Mediterraneo; il fluire della storia, che drammaticamente nel secolo scorso ha scavato solchi invalicabili in questa città, il fluire delle civiltà, che da lì si abbracciano in uno sguardo: quella latina dalla laguna di Grado, quella germanica dalle Alpi e quella slava dal Carso, che tutte sembrano confluire nel nostro golfo.

Ma quest’angolo di mondo è stato anche uno dei più terribili teatri di guerra, non tanto forse per il numero di morti, ma per lo scontro fra le tre civiltà che è entrato profondamente nelle nostre vene, tanto da farci rimpiangere, spesso, i bei tempi andati di ordine e prosperità vissuti dal primo porto di un grande impero.

Così come la nostra città è una città di flusso, a volte anche sferzante come la bora, anche il nostro porto è un porto di flusso, così diverso da altri porti adriatici, riparati nei canali o protetti nelle loro lagune, così drammaticamente inadeguati ad accogliere navi sempre più grandi da richiedere pescaggi di almeno 16 metri: pensiamo che la nave Ever Given, nota per essersi incagliata nel canale di Suez lasciando mezzo mondo con il fiato sospeso, ha 400 metri di lunghezza e, nel momento in cui scrivo, sta navigando verso Rotterdam con un pescaggio di 15,60 m

Un porto ideato come flusso, banchine costruite come unghie della ferrovia sul mare.

Stefano

Visintin

Presidente Associazione degli Spedizionieri del Porto di Trieste