Il Governo

dei/delle migliori.

Leggo con freddezza i nomi che compongono il ‘Governo dei Migliori’: la governance è, al solito, ben stretta nelle mani di pochi uomini, di acclarata competenza: economisti, manager bocconiani, banchieri…
Una solida cintura di sicurezza volta a garantire l’operato dello straordinario Capo del Governo, finalizzata a scoraggiare i demolitori di turno che non hanno esitato a far fuori una brava persona ed un’interessante sperimentazione politica, rischiando, per le proprie personalissime ambizioni, di affossare il Paese.
Seguono nomi di (troppi) altri uomini, per lo più politici di professione: anche il potente Draghi ha dovuto fare i conti con il triste establishment politico che condiziona da decenni la politica italiana e caratterizza i partiti, permeati da una coriacea cultura maschilista che detta le sue leggi.
Leggo i nomi delle poche donne, per lo più assegnate a ruoli di minor potere, con buona pace del dichiarato equilibrio di genere: perpetue che si sono ‘suicidate’ per il proprio parroco e hanno riavuto il posto per riconoscenza, vestali replicanti che, uscite dal tunnel di neutrini e dotate di un software obsoleto mono-tono, ripetono, instancabili, slogan cari al loro sommo capo, onorevoli la cui carriera è stata innescata dal possesso di improbabili competenze, poche altre di competenze certe, conservatrici e aderenti a un modello perfetto e rassicurante di leadership maschile.

LO SGUARDO FEMMINILE
Ripenso alla ricchezza di proposte concrete, sostenibili e innovative, frutto di analisi rigorose, presentate di recente in varie occasioni – non ultimo l’ESOF di Trieste – da parte di associazioni eco-femministe, da professioniste e studiose, da economiste e scienziate che chiedono, tutte, un pragmatico e serio cambio di rotta, volto al superamento di un modello di governo e di economia che il maledetto COVID ha rivelato quanto essere inefficiente, inadeguato e foriero di conseguenze catastrofiche.
Di queste donne, nessuna traccia, nel Governo dei Migliori. Mi riferisco alle aderenti ad !F – Iniziativa femminista, a ‘Il giusto mezzo’, a ‘Il governo di lei’, a ‘Donne nella Scienza’, a Gruppo Assinform di Donne ICT, alla rete D.I.R.E, ad AIDIA, a coloro che hanno redatto il  Manifesto di Donne per la salvezza ‘Half of it’ e alle molte altre realtà composite e popolate da esperte, competenti in vari campi, capaci di delineare una nuova VISION, offrire una lettura diversa del contesto e a formulare proposte trasformative per il futuro. Rileggo il documento di Ladynomics, un gruppo di economiste ed esperte di politiche di genere che, in audizione, hanno invitato il Governo a riconoscere la natura reale della crisi attuale che, sostengono, non è economica come nel 2008 e non è una guerra, ma si presenta come una crisi di cura, sanitaria e sociale, ambientale e culturale. Una visione che rappresenta un ribaltamento totale di prospettiva e suggerisce interventi non basati prioritariamente sul profitto e non solo su ambiti di interesse maschile (trasporti, ICT, infrastrutture…) ma che evidenzia la vera SFIDA: nell’arco di pochi anni, è necessario riparare i danni economici e  sociali prodotti dal Covid,  recuperando altresì i ritardi nel far fronte ai disastri degli ultimi 30 anni compiuti in ambito sanitario, ambientale, tecnologico, scolastico e culturale, che ci relegano in posizioni imbarazzanti nelle classifiche internazionali sulla Competitività tra Paesi e sul Gender Gap.

Gli STUDI DELLE DONNE
L’adozione del concetto di cura come inedita ‘chiave di lettura’ per la pianificazione delle azioni di governo nazionali e locali porta alla progettazione di percorsi da intraprendere in modo strutturale, trasversale e realmente inclusivo, permette di definire strumenti e metodi, indica priorità di obiettivi e tappe per traguardarli. A formulare tali proposte non è una minoranza svantaggiata, ma la metà del genere umano che possiede un patrimonio di competenze scientifiche, tecniche ed organizzative specifiche, aspetti che, a tutt’oggi, rimangono relegati nell’ombra, per buona parte sprecati, occultati e svalorizzati, intrappolati, come siamo, in modelli di sviluppo disegnati e gestititi da uomini e a favore degli uomini.
Non è un caso che sulle donne gravi ancora la maggior parte del lavoro di cura familiare sia gratuito che retribuito, ovunque mal pagato, un’autentica truffa. La denuncia di Ladynomics è netta: ‘principali protagoniste, negli ospedali, nella ricerca, nella didattica a distanza, nel volontariato, nelle famiglie…’ le donne sono le principali vittime della perdita dei posti di lavoro. I numeri del 2020 sono agghiaccianti e raggiungono il record del 98% dei licenziamenti (v. dati Istat). Le donne, in tutti i settori, continuano ad essere pagate meno dei colleghi maschi, un altro furto esteso e accettato, sono soggette a ruoli secondari, a contratti part time e precari, pur esibendo cv e capacità lavorative pari se non migliori degli uomini. E con grande difficoltà riescono a sfuggire alle violenze domestiche e a situazioni di mobbing, soprattutto se hanno figli e dipendono economicamente dai maltrattanti e vessatori
Oltre alla crisi di cura sanitaria e sociale scatenata dal Covid, segnalano le Ecofemministe, si impone, drammatica, la necessità di attivare rapide cure del Pianeta, una crisi innescata dallo sfruttamento scellerato dei territori e delle risorse naturali, fenomeni propri dell’economia del ‘profitto ad ogni costo’ e causa di un’altra incontrollabile emergenza, quella climatica, con cui stiamo già facendo i salatissimi conti. Anche in questo ambito, i modelli di sviluppo perseguiti finora, hanno reso fragili e devastato i nostri territori, spesso irrecuperabili, depauperando oltre ogni limite specie animali e vegetali, distruggendo ecosistemi straordinari fino a incentivare ingenti e tragiche migrazioni di interi popoli, sopraffatti da povertà, sfruttamento a cui si aggiungono, inesorabili e fonte di guadagni inauditi, le guerre.
L’era Covid ha poi evidenziato l’aggravarsi di un’altra pesante e inedita discriminazione, che vede di nuovo vittime le donne e le fasce più deboli: la crisi digitale, la difficoltà di disporre e padroneggiare di tecnologie informatiche, ormai fondamentali nell’esercizio dei diritti. Basti pensare all’impatto nell’utilizzo massiccio della didattica a distanza o l’obbligo di colloquiare con la Pubblica Amministrazione e la Sanità attraverso i servizi on line che si ha la misura della gravità sociale causata, non tanto dal divario digitale fisico, settore ben presidiato dagli uomini (infrastrutture di rete e dotazioni tecnologiche) quanto dal divario digitale culturale, ovvero l’analfabetismo digitale che affligge consistenti fasce di popolazione e che, ancora oggi, è contrastato non in modo strutturale ed inclusivo (e-inclusion), attraverso azioni estese e capillari, che dovrebbero garantire il pieno sviluppo di una cittadinanza digitale attiva (e-partecipation), la salvaguardia della privacy, adeguate competenze per contrastare le minacce presenti in rete (It security), fenomeni di cyberbullismo e le capacità di difendersi da reati digitali, istanze ben presenti nelle Agende digitali europee.
Permane e si aggrava, in tempo di crisi, la fatica delle donne ad affermarsi, come meriterebbero, in ruoli e settori ancora in mano agli uomini a causa degli irriducibili stereotipi di genere che caratterizzano la cultura dominante, che arriccia il naso quando sente parlare di ingegnere, architette, rettrici, avvocate, ministre, sindache…come se l’utilizzo del linguaggio di genere fosse un capriccio e non il primo passo di una presa d’atto delle competenze possedute dalle donne in ogni campo. Negli ultimi 10 anni l’Italia ha registrato un incremento del solo 0,4% del tasso di femminilizzazione nei settori dove la presenza di uomini supera il 60% (dati Eurostat).  Di pochi giorni fa la notizia raccapricciante che il CDA del CNR è un club di soli maschi.
Un quadro di insieme, per nulla esaustivo, che induce azioni di governo centrali e locali di uno sviluppo equo che prevedano il pieno coinvolgimento delle donne nella ripartenza del Paese, come asset strategico.

L’IMPATTO DI GENERE DELLE AZIONI DI GOVERNO
La richiesta corale delle donne è che i programmi che si stanno elaborando, a tutti i livelli, per la ripresa, debbano indicare in modo chiaro e concreto modalità e tempi di attuazione ed essere corredati da strumenti di valutazione dell’impatto di genere delle azioni messe in campo (ex ante, in itinere ed ex post), potenziando, ad esempio, gli organismi di parità, che hanno perso il ruolo che la normativa loro riserva a fronte di criteri autorevoli di monitoraggio. Richiesta più che legittima, tenuto conto che, dal momento che a livello europeo il 57% delle risorse viene riservato alla transizione ecologica e alle infrastrutture digitali ci si chiede dove e come vengono reperite risorse specifiche per gli asili nido, per la scuola e il sociale, per i servizi di cura per non autosufficienti, tutele di maternità per lavoratrici autonome, fondi per l’imprenditoria femminile e per l’incentivazione di studi STEM per le ragazze ed il contrasto agli stereotipi.

IL BILANCIAMENTO DELLE RISORSE
Sussiste, oggi più che mai, la necessità di dotarsi di processi e metodi efficienti in grado di correggere interventi sbilanciati a favore dei maschi. Ad esempio, vanno pertanto indicate puntualmente le risorse dedicate all’occupazione femminile e l’inserimento di criteri di gender procurement nei bandi di gara o negli appalti per assegnare i progetti, va sostenuta la formazione professionale di donne in alcuni settori a prevalenza maschile e garantiti investimenti adeguati in settori economici ad elevata presenza di occupazione femminile, incrementando gli investimenti nelle infrastrutture sociali, pagando di più il lavoro di cura, potenziando i servizi per la conciliazione, i servizi sociali, l’istruzione. Non è un caso, infatti, che ancora oggi i paesi europei a più elevato tasso di occupazione femminile siano anche i paesi che spendono maggiormente nel welfare e nel sociale, con buona salute dei loro PIL. Economisti e banchieri hanno convenuto che in Italia il PIL crescerebbe del 7% con il 60% delle donne occupate e adeguatamente retribuite.
L’applicazione delle misure indicate dalle donne porta a concretizzare l’astratto obiettivo “parità”, che oltre ad essere eticamente corretto diventa un chiaro obiettivo economico e sociale, perseguibile e necessario.  Da tener presente che la Commissione Europea ha confermato che la parità di genere è uno dei i criteri con cui giudicherà i piani nazionali Next Generation EU.
Per dirla con Half of it, i concetti nuovi che sottendono i programmi di ripresa proposti dalle donne si esprimono in tre passaggi:
– l’idea corrente di lavoro non può più essere separata dall’idea di vita;
– l’economia non può più essere la ricchezza di pochissimi ai danni delle moltissime e dei moltissimi;
– la cura in tutti gli ambiti va intesa come centrale per la convivenza umana e non più marginale e nascosta
sotto il tappeto del profitto.

Gabriella

Taddeo

ICT Business Manager